Nuvole di zucchero filato (e se fosse soltanto un mero esercizio di stile?)

Chiunque abbia inventato questa fiaba doveva essere ubriaco, o aver mangiato pesante o forse ancora, più banalmente, doveva essere uno di quei romanticoni vecchio stile ormai fuori produzione, chè tanto basta poco a scambiare certi sintomi dell’innamoramento con quelli di un banale mal di pancia.

Questa storia non è a lieto fine, ma non finisce nemmeno male; è solo che ad un certo punto si interrompe, coi protagonisti che se ne tornano ognuno a casa propria e nessuno in fondo ne è del tutto convinto, ma si capisce che, almeno per il momento, è meglio così.

Lui è il principe di un regno che non esiste dal nome assolutamente buffo; anche lui è buffo: ha un cavallo rosso ed una chitarra come spada, passa il tempo a disegnare nuvole di zucchero filato e a contemplare l’infinità dei mondi possibili.

Lei è la figlia della Regina del cielo, bella come la frutta matura: ha gli occhi nocciola che si fanno più chiari quando si emoziona. Sul dorso di un drago di metallo ha sorvolato l’oceano ed adesso conta le distanze in miglia e frazioni di miglio.

Lui è sostanza che litiga con la forma, mentre lei è bellezza, d’animo e d’aspetto, di sguardi, parole, di quella bellezza inconsapevole ed ingenua che rende profumati i fiori e saporita la vita.

Si sono conosciuti in un tempo lontano, in un luogo non luogo, una specie di grande piazza con tante stradine e popolata da maschere, indossando una maschera, per questo, per lungo tempo, non si sono riconosciuti.

Poi un giorno si sono incontrati in una città vicino ad un fiume, ma questa volta senza maschera e bevendo dell’orzo all’aroma di miele. Lui doveva andarsene, ma poi, senza una ragione chiara se non la consapevolezza che dopo non si sarebbero più rivisti, ha sentito che voleva rimanere un altro po’, giusto il tempo di un gelato. Poi più nulla.

Ci penseranno distanze enormi a riavvicinarli: tramite un sofisticato sistema di specchi ed incantesimi, prodigio dell’arte magica, tornano a vedersi, sentirsi, farsi compagnia, ma, ahimè, questa, per quanto bella, rimane pur sempre una magia che non è la realtà. Lei adesso vive lontano lontano, una piccola cittadina in cui però riesce finalmente a sentirsi grande, in quel grande paese dove solo se sai ancora sognare riesci a cambiare la realtà.

Lui di tanto in tanto la sogna e poi ci ripensa: non ci ha senso; però continua a sognarla e tutto ciò continua a non averci senso e così via in un continuo mozzicarsi la coda.

Lui vive solitario nel suo regno sperduto, vive quello che chiama “il dramma di Dio”, vive una vita che non è la sua, ma la affronta ugualmente con lo spirito di un bimbo: si esalta e si scoraggia, ma sostanzialmente ride e fa sorridere. Sa già che il giorno in cui perderà l’entusiasmo partirà nuovamente, per diventare il principe di un nuovo regno, così come ha sempre fatto e così come continuerà a fare finché …

Intanto lei torna, non per sempre, ma torna, e finalmente si rincontrano davvero e poi di nuovo, prima nella città delle fontanelle e poi ancora nella città delle due torri. Dura poco, ma si sa che degli istanti conta l’intensità e non la durata chè se no non li chiamerebbero attimi cioè respiri. Troppo o troppo poco, non si capisce, comunque in ogni caso troppo poco per poter affermare qualcosa che abbia senso in generale; vale qui ed ora e qui ed ora non ci sono elementi sufficienti per capire, solo che lui sente che le vuole un gran bene ed in cuor suo vorrebbe fosse lei quella giusta perché in fondo lei è come l’ha sempre immaginata solo che non può dirlo: come fa a dirlo? Anche lei gli vuol bene, altrimenti non sarebbe lì con lui, ma preferisce non dirlo per non essere fraintesa chè per ora, per un cuore trafitto, non è il momento per i sentimenti. Anche lei in fondo vorrebbe che lui fosse…, ma purtroppo non è. Lui allora le dice: “se solo fossi meno bella sarebbe più facile lasciarti andare…” Lei si raccoglie, sorride, lo guarda e riabbassa i begli occhi, timida come un fiocco di neve che cadendo si scioglie sull’asfalto. Non risponde, ma nel suo sguardo malinconico c’è tutto il senso di quel “potrei, ma non voglio”.

E così questa storia si conclude com’è cominciata, con un colossale mal di pancia: tutte quelle nuvolette di zucchero filato tocca mangiarsele chè se no fanno le formiche e le formiche in cielo chi le ha mai viste? Mentre i castelli che il principe ha abitato si smontano e si rimettono in tasca, tanto anche quelli sono gratuiti, come i sogni.

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Un giorno di ordinaria solitudine

Chiariamo subito: vivere da soli non è affatto malaccio, specie se si vive la solitudine con un certo orgoglio (l’orgoglio di chi dice mi spezzo, ma non mi piego, per intenderci). Però l’orgoglio è anche una di quelle cose che fa presto a condannarti all’inferno, quindi orgogliosi sì, ma con moderazione.

In questo momento mi godo le giuoie del letto e al diavolo il sole e le gite domenicali: salvo cataclismi, che comunque son sempre in agguato, mi auguro una vita piena di giornate di sole. Per oggi voglio soltanto dormire, perchè  questo, insieme al buon cibo, è l’unico modo efficace che conosco per prendermi cura di me stesso. In effetti so già che poi non riuscirò ad addormentarmi, ma la prospettiva di una vita orizzontale è già di per se abbastanza rilassante e scarica la colonna vertebrale, pur senza compromettere la capacità di leggere, ascoltare, guardare, ma soprattutto scrivere. Frasi, aforismi, frammenti di canzone, post per blog che solo a pochi pungerà vaghezza di leggere.

Stare a letto quando tutti sono fuori è anche il mio modo per dire: io non ci tengo ad essere come voi anche perchè siete voi i primi a non voler essere come me e dunque pace.

Certo poi mi rigiro nel letto e mi accuccio sotto il piumone e lo avverto che c’è qucosa che non va: ho trent’anni ed ho ancora un letto ad una piazza. Non fraintendetemi: non è un pezzo di carne ancora caldo disteso al mio fianco che mi cambierebbe la vita. Non è una presenza fisica che mi manca (cioè anche, ma non principalmente) quanto l’affinità in anima e pensiero che quel corpo accanto a me starebbe a significare.
È per questo che io non sono solo sol perchè sono qui e non laffuori ed è per questo che, se non ho voglia di far nulla, preferisco le pantofole al costume da bagno, tanto la situazione non cambia.
Chi dorme non piglia pesci, ma se non pesco oggi pescherò domani.
Non si può sempre andare in giro a caccia di occasioni: ogni tanto è più bello restare a casa per prendersi cura di se’ e preparando spirito ed energia a cogliere le mille occasioni che riprenderanno ad attraversarmi la strada a partire da domattina, nel preciso istante in cui avrò varcato la porta di casa.

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Gli enta non sono poi così tanti

Questo post è in due atti.

Lo sfogo

È da un po’ che non scrivo e francamente non ne vado fiero. L’anno nuovo è partito col piede sbagliato, il motore s’è ingolfato ed io mi trovo a rincorrere quella stessa vita che una volta ero io a portare a spasso. La sensazione è la stessa di quando la macchina, alzando la frizione, ma senza schiacciare l’acceleratore, tende a scappare mentre tu vorresti che andasse più lentamente. Dalla regia dicono che devo imparare a farci l’abitudine perché è così che si vive nel terzo millennio, ma io, a dire il vero, non ne sono affatto convinto e, in ogni caso, non sono d’accordo.
Viviamo nell’epoca delle ossessioni: il danaro, la bellezza, la felicità, la giovinezza, la competizione. E le ossessioni portano all’esasperazione, all’infelicità congenita; ti fanno credere (chi te lo fa credere poi?) che o così o niente, ti mettono nelle condizioni di o così o niente e poi finisci col credere anche tu o così o niente. A scuola, a lavoro, tra gli amici, in politica, in parrocchia, in qualunque gruppo all’inizio ti scelgono e ti accolgono perché sei bravo, sei simpatico, sei buono o non so che cavolo sei, poi ti impongono le loro regole, TI TOLGONO TUTTO SENZA PRENDERSI NIENTE (sono talmente miseri che non sanno che farsene dei tuoi talenti), se suoni smetti di suonare, se scrivi smetti di scrivere, se guardi i film smetti di guardare i film, e poi, nudo come ti sei ridotto (nessuno mai ti spoglierà, è questo l’aspetto diabolico della faccenda: saranno le tue stesse mani a farlo!!!) finisci per diventare uno come tanti, una delle tante pietre che non brilla, ne’ più ne’ meno che un numeretto da statistica.
Così succede che nel mondo dei grandi entri ricco ed esci più povero di chi era entrato povero. E siccome non sempre ciò che bene o ciò che male è evidente solitamente questo modo di vivere perverso ti si presenta in maniera avvenente ed allettante a tratti incantevole: la frenesia di questa vita all’inizio ti gasa, è appagante, ti fa sentire bene, felice, almeno per un po’: funziona esattamente come una droga: ti eccita nel momento in cui ti porta oltre te stesso (l’uomo è un elastico che difficilmente si strappa), ti fa andare al di là dei tuoi limiti (ognuno ha i suoi e non sono uguali per tutti), ed una volta al di fuori, come il cosmonauta senza forza di gravità, ti porta alla deriva, via da te stesso così che ad un certo punto ti trovi che non riesci più a rientrare nella tua vita… Così quelle che prima erano solo scelte adesso diventano necessità… E questo non è affatto il miglior modo di essere felici…
Negli ultimi mesi ho finito col fare tutto in apnea; acido lattico a palate. La vita ti travolge e tu annaspando cerchi qualcosa (o qualcuno) a cui aggrapparti per non farti portare via.
Non è affatto facile tenere ben salda la barra del timone, ci vuole il fisico ed anche tanta forza.
Detesto non riuscire a mantenere il controllo di me stesso, sentirmi trascinare dagli eventi.

Ho bisogno di essere lucido. Ho bisogno di trovare il tempo per curare i miei interessi ed i miei progetti.
La realtà più avvilente che mi trovo a vivere adesso è quella di voler fare tutto, di sentirmi costantemente in competizione con chiunque e per qualunque cosa. Vedo uno che suona bene: anche io vorrei suonare bene come lui; sento uno che canta bene: anche io vorrei cantare bene come lui; vedo uno che sa far bene fotografie: anche io vorrei avere scattato foto belle quanto e più delle sue; c’è un tipo che conosce i cartoni giapponesi meglio di quanto li conosca io, allora vorrei…

Capricci… da adolescente…

La realtà è che non si può far tutto ed arrivati ad un certo punto della vita uno è obbligato a scegliere, cosa tenere e cosa lasciare. E questa è la cosa più più più brutta in assoluto che possa esistere. Da qui in poi è solo questione di bravura: in realtà le cose che lasci per strada adesso non finiscono perse, ma rimangono, silenti in attesa, pronte per quando sarà il loro momento e TU dovrai aver la prontezza di riprenderle in mano come se il tempo non fosse mai passato.
La vita non va vissuta solo intensamente, ma anche estensivamente. Ritorna la dualità del cosmo (non si può scegliere o l’uno o l’altro: tutto è legato): tra qualità e quantità io scelgo la qualità oggi per poi raccogliere quantità nel tempo…
Quando hai fretta fermati ed aspetta, quasi a convincerti che c’è ancora tempo: in fondo si vive una volta sola.

Oggi è una magnifica giornata

Io trovo che una bella dormita possa risolvere un sacco di problemi esistenziali. Di meglio riescono a fare solo la musica ed il cibo. -E l’amore?- L’amore dove lo metto? L’amore è per chi è in due e poi forse l’amore i problemi più che risolverli li complica; by the way io in due non ci sono e quindi si può viver bene anche senza amore ed in fondo, prima di star bene con qualcuno, è con se stessi che bisogna star bene, no?
Io oggi compio 30 anni e a 30 anni si hanno due volte 15 anni cioè lo spirito di un adolescente compresso nel corpo di un metalmeccanico (per chi ha la fortuna o il dispiacere di esserlo) nella cui mente l’ingenuità ha drammaticamente ceduto il passo alla stupidità…
Per il sottoscritto, che pargolo è e pargolo rimane -se pur con un po’ di imbarazzo di tanto in tanto-, quel numero tondo è un modo per dar consistenza ed autorità ai propri pensieri, alle proprie parole, alle proprie azioni. Se è vero (riferito all’orizzonte temporale) che a 30 anni Gesù Cristo ha cominciato a predicare e da quel dì in 3 anni o poco più ha cambiato per sempre il destino del mondo, anche se non pretendo di arrivare a tanto, allora io, dall’alto dei miei 30, sento l’urgenza di fare qualcosa di grande e di importante per me e per gli altri: che abbia dunque inizio la
preparazione all’anno mistico!!!
Anche se ancora sono confuso riguardo al mio futuro e non ho la benché minima idea di cosa farò da grande, so per certo che non approvo il mondo in cui vivo ed il modo in cui si vive per questo, non avendo, per fortuna, urgenti problemi personali da risolvere, posso ancora concedermi il lusso di pre-occuparmi dei problemi di quest’epoca balorda. Al tempo stesso però io questo mondo lo amo, lo amo perché è tutta la potenza che ho, È TUTTO QUELLO CHE MI È STATO DATO, perché nonostante tutto c’è sempre qualcosa che mi manca e questa è una mancanza congenita, una mancanza che fa del mondo la mia stampella. Perché io l’ho detto tante volte e lo ripeto ancora adesso: io senza gli altri non sono nulla perchè sono gli altri quel pezzetto di me che manca (non nel senso che lo trovo in loro, ma che proprio loro lo sono). E questa mia non è ingenuità, ma una ben precisa e rigorosa filosofia di vita: io credo, credo nelle cose belle, nelle persone belle, credo nella bellezza non solo come categoria estetica, ma soprattutto come qualità morale.
Intanto…
Ho capito che per un trentenne che voglia tenere la testa sulle spalle la scommessa per il nuovo decennio è quella di cambiare marcia ed imparare a gestire il vantaggio, che straordinariamente e senza che se ne sia accorto, bene o male ha accumulato; imparare a risparmiare le proprie risorse sia mentali che fisiche; non disperde le energie e le opportunità, lavorando di strategia, ma senza mai dimenticarsi di vivere le emozioni di pancia; trasformarsi in un cecchino che con precisione quasi balistica, non dico necessariamente one shot one kill, sceglie l’obiettivo e colpisce.
Ma nonostante tutti questi buoni propositi le domande ritornano e quindi: qual è? Quale deve essere questo obiettivo? Come si sceglie? Dove si trova? Poi al resto penso a tutto io, ma fatemi capire!
Faccio ancora fatica a familiarizzare con l’idea che, piano piano, gradualmente, senza fretta, ma inesorabilmente dovrò cominciare ad assumere la forma della persone adulta (altro che pargolo!), intanto mentre riguardo alcune foto scattate almeno una decina di anni fa e rileggo alcuni i pensieri appuntati almeno una decina di anni fa mi stupisco nel rivedere lo stesso me stesso di adesso: rispetto ad allora soltanto la consapevolezza è diversa.

Vorrei avere una grande anima, perché tutte le persone a cui voglio bene ci si possano sdraiare.


In quest’ultimo anno ho scoperto che:

  • Il cioccolato fondente non è una cosa che ti deve piacere, ma una cosa che si può imparare a gustare.
  • La felicità è come un filo, sul quale non puoi camminare per sempre, ma dal quale, una volta sceso, puoi comunque risalire.

P.S.questo post è il frutto di tante tante chiacchierate fatte con vari veri amici che non solo sono vari, non solo sono veri, ma sono anche e soprattutto amici e, molto modestamente, sono persone incommensurabili, perciò se qualcuno tra i lettori dovesse sentirsi plagiato o citato tra le righe sappia che è così e questo è il mio personalissimo modo per dirgli grazie :)

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Di buoi, di asini e di altre bestie da presepe


Il titolo suggestivo serve solo ad attirare l’attenzione, ma il post è tutt’altro che ispirato. Abbiate solo la compassione di lasciare un commento di auguri: per il prossimo anno ne avrò bisogno…


Anche quest’anno il Natale è passato senza lasciare vittime, nessuno di noi pensava di farcela ed invece, miracolo di Natale, tutti i sacri riti si sono consumati come la sacra tradizione voleva: regali, cibo, amici ed eventuali parenti: tutto al proprio posto!
Come però comincia ad accadere un po’ troppo spesso, siamo tutti a far festa, ma non c’è nessuno che si fili il Festeggiato… Lui, poverello, se ne sta buono buono “al freddo ed al gelo” sperando che qualcuno, anche solo incidentalmente, gli rivolga uno sguardo (non dico che gli debba offrire un pezzetto di panettone ed un bicchiere di spumante, ma almeno fargli un cenno, un saluto con la manina, sapete com’è, in fondo è il Suo il compleanno…), mentre noi ce la spassiamo allegramente scartando pacchi e bevendo prosecco.
In certe omelie ho sentito dire che a Natale dovremmo farci il cuore a capanna (il culo a capanna ce lo siamo già fatti durante il resto dell’anno tentando di non affogare in questa valle di lacrime) per poter accogliere metaforicamente il Bambinello dentro di noi; ma se ‘sto Bambinello, dopo più di due millenni, continua ancora a sentire freddo significa che in questo cuore ci sono ancora troppi spifferi… -Ci abbiamo il cuore bucato, come le braccia di un drogato…- E la cosa più assurda è che questo cuore bucato non sanguina, perché tanto, visto che ormai stiamo diventando sempre più bravi a fare a meno delle cose necessarie, abbiamo deciso che si può vivere anche senza sangue, come a dire che in fondo si può vivere anche senza l’essenziale della vita… Presuntuosetti direi…
Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa e poi? Tutto come prima. La famiglia, l’economia, la crisi: cosa è cambiato? Tutto è esattamente come prima, come se nulla fosse successo. Ripercorriamo come il gregge gli stessi passi, ripetiamo gli stessi errori, con l’aggravante che siamo lucidi, le cose le vediamo, ma è più comodo fare fronte compatto ed andare avanti tutti e comunque ad oltranza, tanto pensare a che serve… Succede così che se un tempo (giusto qualche millennio fa) i nostri avi erano i pastori del presepe globale, oggi noi ci ritroviamo a far le pecore…
Ma con tutto questo io non so esattamente cosa voglio dire, perché all’ultimo dell’anno mi sento smarrito anche io. Credevo di essere andato avanti, ma andavo avanti in tondo e le domande che pesavano l’anno passato di questi tempi sono le stesse che pesano adesso.
Ho passato un anno buono e sono contento, anzi felice. Il 2010 mi ha dato molto più di quanto mi aspettassi e questo da un lato mi esalta e soprattutto mi dà tutta quella sicurezza, determinazione e sfrontatezza che in tutti questi anni non ho mai avuto. Dall’altro il fatto di aver attraversato il 2010 come  una specie di salto nell’iperspazio (in cui ho avuto l’impressione di aver vissuto condensati 2 o 3 anni in una volta) ed il parallelo rimpinguarsi della mia autostima un po’ mi spaventano perché adesso, dopo essere finito ben oltre la mia immaginazione, mi trovo in seria difficoltà nell’immaginare il mio futuro. È vero che la vita va vissuta come una sorpresa, ma avere anche solo una vaga idea di quel che potrà succedere di certo aiuta ad indirizzare meglio i colpi. Io invece mi sento un pochetto confuso perché non riesco a bene pensare alla prossima mossa. Bisogna sempre pensare alla prossima mossa, l’ho sempre fatto, ma stavolta sono spiazzato.  Bon!
A volte penso che se il Signore mi ha dato così tanto, specie negli ultimi tempi è perché si prepara a chiedermi qualcosa di grosso. Ma questa visione “do ut des” sarebbe sin troppo umana, e Dio di certo non si abbasserebbe mai a fare un ricatto del genere. Di sicuro mi sta caricando ben bene per fare qualcosa di grosso. Ma cosa?
Ad ogni modo, pare che la stessa sorte di un 2010 costellato di successi sia capitata a diverse persone a me care a tal punto da pensare che forse il grande progetto non coinvolga solo me, ma anche tutto un certo insieme di persone spiritualmente affini…
Per scoprire cosa il Padre Eterno tiene in serbo per noi non ci resta che rimanere sintonizzati su questo entusiasmante 2011.


Auguri di vero cuore a tutti voi! Buon Anno!!!!


E ricordate che everybody needs somebody to love! ;)

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Il pargolo ed il suo grande fratello (ovvero: privacy Vs. esibizionismo)


ATTENZIONE:
questo post non parla del fratello di sangue del pargolo (per intenderci, quello che compare nello stato di famiglia), noto organizzatore di eventi nel messinese e del quale, recentemente è ricorso il genetliaco (anzi a proposito: ciao Checco, auguri Checco!).
Il grande fratello in questione somiglia piuttosto alla guardona entità televisiva brutalmente plagiata dal libro profetico di Orwell. –per la serie: maledetti autori televisivi!-


Da brav’uomo del suo tempo il pargolo non dispregia la visione del grande fratello. Insomma, per partito preso, non puoi evitare qualcosa che, nel bene o nel male, ormai è entrato a far parte del costume di questa epoca: è fondamentale condividere certi modelli “cul-turali” (sì, facce da culo intendo) se vuoi interagire alla pari col popolo e non rischiare di vivere lontano dalla contemporaneità: piaccia o no il terzo millennio è anche grande fratello. Sigh!
Il grande fratello, di base, non può considerarsi una trasmissione particolarmente bella (se non per la presenza di qualche effimera bellezza femminile) anzi, dopo tanti anni, è diventato alquanto prevedibile, noioso e banale. Epperò diventa molto interessante nel momento in cui suscita in chi lo guarda (vedi il pargolo) diversi spunti di riflessione. Dapprima, la sintomatologia di queste riflessioni profonde non è molto chiara e generalmente si manifesta sottoforma di “inturciuniamento” di budella – ovvero riflessioni dalle interiora…-, nausea e talvolta impeti di rabbia immotivata con disastrosi effetti sull’acidità di stomaco.
Quello che, personalmente, meno si tollera di quel programma sono le emozioni di plastica (ma niente a che vedere con la poesia della Consoli o dei Radiohead!): tutto lezioso, tutto come se ci fosse scritto che devi ridere o piangere e ti fosse assolutamente vietato comportarti in maniera normale. Entri in una casa? È bella? Mica ti metti ad urlare! Ti presenti ai tuoi coinquilini? Non li conosci? Ed allora che gli salti al collo e li baci se mai lo avresti fatto con la gente che normalmente incontri per strada? Pensa se facessi così il giorno in cui ti presentassero la tua nuova coinquilina, che so, quando prendi casa in affitto durante il periodo dell’università: o ti prenderebbe per matto, o ti prenderebbe per uno stalker: in ogni caso non la prenderebbe bene – Magari ti direbbe: “ehi tu porco levami le mani di dosso”-. Ma tralasciando queste considerazioni terra terra, i classici del tipo “ma andatevene a lavorare”, i falsi moralismi (che ci rendono del tutto simili agli abitanti di quella casa), il fatto che una trasmissione televisiva che ti ponga nelle condizione di fare delle scelte sbagliate, di comportarti male, di farti uscire dai gangheri per il solo gusto di criticarti e farti giudicare (inteso come tu che giudichi gli altri e gli altri che giudicano te in un immenso bestiario in cui i buoi danno continuamente del cornuto agli asini) sia assolutamente cattivo, spietato e degradante, la mente contorta del pargolo si inerpica per calli impervie, e si interroga: perché, da un lato, politici e non fanno di tutto per proteggere la propria privacy, mentre la gente della strada non vede l’ora di mostrare le proprie natiche e di pomiciare davanti alle telecamere? Perché: da un lato c’è la totale assenza di vergogna, gente che firma una liberatoria per disfarsi della propria privacy pur di finire alla ribalta, dall’altro c’è invece chi si vergogna di essere quello che è (e non quello che appare) e che della privacy finisce per fare uno scudo legislativo dietro il quale, queste persone all’apparenza normali e tranquille cercano di nascondere comportamenti poco nobili, sportivi o decorosi. I politici, che hanno tutti paura di essere spiati (pensiamo al discusso decreto sulle intercettazioni…), ne sono solo l’esempio più lampante. E non perchè gestiscano chissà quali importanti segreti, ma perchè nel loro privato vien fuori tutta la loro ipocrisia.
Forse io sono più scemo di quello che credo di essere, ma penso che: se non hai nulla da nascondere a che ti serve la privacy? Ti serve solo il pudore, nei sentimenti così come nei bisogni. Nient’altro. Chi invece ha amanti, paga o prende tangenti, fa le corna alla moglie, violenta bambini o pippa di coca, etc. ha bisogno di invocare la privacy per tutelarsi. Ed anche la vicenda Wikileaks, se vogliamo, ci sta suggerendo qualcosa in merito…
Ad ogni modo, dicevamo, questa palese contraddizione tra la voglia di apparire e la voglia di nascondersi manda in crash il sistema operativo del pargolo che, dall’alto del suo vivere atarassico, non concepisce il senso di tanto agitarsi. Il pargolo, grazie al cielo, è un privato cittadino dalla vita trasparente come pochi. A tal punto trasparente che lui il grande fratello se lo è fatto in casa e vive da tanti anni, quotidianamente, il suo personale Truman show!
Vengo e mi spiego.
Il pargolo ha un modo di parlare sguaiato, nel senso che lui non parla: urla. -Che ci vuoi fare è un pargolo, è solo un modo di attirare l’attenzione- In questo modo, anche chi non fosse interessato ai cavoli suoi finisce per farseli.
Il pargolo vive in una casa con le pareti di cartongesso. Anche in questo caso, chi non volesse farsi gli affaracci suoi finisce per conoscerli. E per di più possono sentirlo mentre canta senza ritegno, impreca, rutta, parla con se stesso (tipicamente insultandosi).
Il pargolo nella sua mansarda/camera da letto ha una finestra all’altezza del pavimento, con la serranda rigorosamente alzata. Ciò ha come conseguenza che, se cammina per casa in mutante, dalla strada di sotto si vedono le mutande del pargolo che camminano ritte su due gambe pelose; se stira o scopa per terra dal palazzo di fronte vedono il pargolo che stira o che scopa per terra. Alla sera, infine, complice l’ombra che si disegna sulla tendina, il pargolo regala emozioni forti a tutte le extracomunitarie di Yeahsi, producendosi in un flaccido striptease prima infilarsi il pigiama. E vogliamo pure parlare del suo fantastico pigiama con le uova poliziotte?
A casa del pargolo, quindi, tutto si svolge alla luce del sole o al chiaro di luna, nella più totale tranquillità.
Se poi non dovesse bastare tutto quello che già offre la vita reale, allo sputtanamento delle azioni si unisce anche l’autosputtanamento mediatico di pensieri ed episodi bizzarri di vita, bellamente sparsi sui vari blog che gestisce. In fondo l’autosputtanamento è uno straordinario modo per non prendersi troppo sul serio, offrendosi autonomamente come bersaglio a dei perfetti sconosciuti, nonché a se stessi priam che sia qualcun altro a farlo.
Per chi vedesse tutto ciò come una forma di prostituzione beh in fondo il pargolo vorrebbe essere di tutti, quindi sì. A chi invece lo vedesse come un modo per sminuire o banalizzare se stesso direi che è fuori strada. In fondo, nonostante tutti sappiano o per lo meno possano sapere tutto o quasi di me, sono solo in pochi a conoscermi veramente. Perchè è difficile starmi dietro e tenere le fila di tutti i miei pensieri strampalati. Chi mi conosce non ci prova nemmeno. È invece la sympatheia, il sentire allo stesso modo, che mi avvicina a certe persone. Ed è per questo che, anche se arrivassi a raccontare tutto, ma proprio tutto, di me, rimarrebbe ancora tanto di mio, proprio nel mio modo di vivere e di sentire, che sarebbe solo mio, privato e personale, talmente personale da riuscire ad essere condiviso solo con le persone che veramente amo (e che quindi sentono me come io sento loro – tutto ciò ha anche un che di mistico e religioso, ma non mettiamo troppa carne al fuoco-). In questo modo non c’è ne’ mai ci sarà il rischio di derubarmi della mia privacy.
E poi, ribadisco: se non fai nulla di cui vergognarti perchè vergognarsi? – anche se in effetti, a rileggere il post e il resto del blog, il pargolo avrebbe parecchio di cui vergognarsi… Ma consideratelo alla stregua del bimbo di pochi anni che fa la pipì sulla spiaggia con tutto il dindondero di fuori, per la serie: so’ ragazzi!-
In questo modo il pargolo, oltre a non doversi porre eccessivi problemi su come comportarsi in pubblico (e quindi non rischiando di risultare ipocrita nella vita di tutti i giorni), soddisfa anche la sua (in)sana voglia di mettersi in mostra. Perciò, tutto sommato, quando in tv si trova a vedere quei bellocci senz’anima mimare se stessi (perchè loro cercano di comportarsi così come credono di doversi comportare in una situazione del genere), prova un po’ di disappunto pensando che lui, al loro posto, sarebbe decisamente più spettacolare (e chi lo conosce può testimoniare quanto lui possa essere spassoso e palloso allo stesso tempo). Se pensa a quanto talento e quante potenzialità ancora inespresse ci sono in lui, il pargolo non ce la fa proprio a guardare dei cretinetti senza arte ne’ parte destinati a diventar famosi.
Tutto questo ha un che di profondamente ingiusto.
Ma in fondo chissenefrega: non sarebbe certo questo tipo di giustizia da andare cercando. Il pargolo, dal canto suo, preferisce accontentarsi della sua morning glory e ritenersi enormemente appagato dal suo show quotidiano nel quale si improvvisa intrattenitore della gente comune, degli amici, dei parenti, dei bloggers e dei pedoni che passano sotto casa…

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riflessioni a mente calda

Sono centinaia le ragazze violentate e a nessuno sembra interessare. La morte in questi casi penso sia il male minore…
La questione che devrebbe far riflettere è che l’insospettabilità di chi commette crimini orrendi, come questo e come tanti altri, non solo è il sintomo di una società alla deriva (e di un male del vivere radicato ormai dappertutto), ma del fatto che nessuno, noi compresi, può considerarsi immune dal commettere un qualunque gesto insanamente folle.

Chiunque può (e non sto dicendo deve) perdere il controllo. Persino il Dalai Lama. E’ nella natura umana e non si cambia. Sono del parere che i 5 minuti in cui non si capisce niente posso capitare a TUTTI. Ribadisco: possono, non devono.  E non sto parlando per forza di stupri o omicidi, ma possono essere anche più banalmente lanciate di coltelli, botte da orbi, tradimenti di amici, fratelli, mogli etc… Anzi motlo cinicamente vedo la morte come liberazione dal peso di una sofferenza ingiusta specie se poi, come diceva Epicuro: quando ci siamo noi non c’è la morte e quando c’è la morte non ci siamo noi.

Se muore qualcuno a me dispiace per me mica per lui. Si lo so sembra troppo cinico, ma è la realtà. Se poi ci hai pure una prospettiva trascendente e allora sto discorso vale 2 volte.


Ma tornando alla cronaca… Questo zio sembrava normalissimo… Tutti dicevano che era normalissimo… Non era ne’ un violento ne’ un pedofilo. Adesso “si dice”, ma è tutto da vedere.

Purtroppo bisogna arrendersi di fornte alal constatazione che la cattiveria non è una malattia, è cattiveria. E’ lucida. E’ “sana”. Malato è invece lo stupratore o il serial killer cioè chi ha dei comportamenti sistematici.
Il raptus di solito coglie la gente comune, che si considera normale e che proprio perchè si considera incapace di gesti efferati finisce col compierli, giacchè confida troppo nella propria sanità.

Perciò io continuo a sostere la mia tesi di un ‘lato oscuro della normalità’ secondo cui non per forza occorre essere malati o pazzi per compiere gesti folli.

La malattia, in CERTI, casi è solo un alibi o un pretesto per non arrendersi all’idea che le fatalità esistono così come pure la cattiveria.

-e fu così che cominciarono ad accusarmi di delitti irrisolti e sparizioni misteriose…-


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Autoconsiderazioni

Sono uno che guarda sempre a chi riesce a dare più di me, perchè mi sia da stimolo, perchè ogni volta che mi dico ‘basta così’ mi rimane il sospetto che sia  solo pigrizia o vizio. Tante volte mi sono posto dei limiti troppo stretti e poi ho scoperto che andare uno due passi più avanti era sempre possibile ed è successo con la musica, col lavoro, con tutto. Gli unici limiti veri sono quelli che ciascuno impone a se stesso, ma quando impari ad ascoltare il tuo fisico e la tua testa non c’è limite che non possa essere superato. Io mi sento tanto stupido e per questo a volte mi limito, ma questo mio approccio da stupido mi consente di imparare bene ed in fretta da chi stupido non è. Chiunque è migliore di me in qualunque cosa per questo a me piace fermarmi ad imparare da chiunque, persino dalle persone antipatiche. Io adoro imparare anche se mi sento costantemente insicuro di ciò che provo a mettere in pratica. Ciò nonostante vado avanti e provo a non fermarmi anche se le idee che ho in mente di realizzare sono talmente tante e vanno così veloci, che quasi sempre ho l’impressione di rimanere fermo. Anzi assorbito dalla quotidianità, sento sempre più spesso il tappeto scivolarmi da sotto i piedi, perchè vivere impegna.

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Perché per me l’anno comincia il 15 di agosto

Due anni fa, chitarra in spalla, con indosso una benaugurale maglietta rossa con su scritto
“impossible is nothing” e senza preoccuparmi di dove avrei dormito
, partivo alla conquista del
cuore della fanciulla che mi aveva
stregato. La fanciulla fu
mia. In realtà già lo era, ma, sapete, a volte serve un po’ di incoraggiamento.
Tutto fu perfetto. La notte di ferragosto, la luna, le stelle, le frasi
sussurrate all’orecchio, certe parole dette e non dette, l’odore e la risacca
del mare, il profumo della pelle, i riflessi, l’ombra e la luce, le carezze, i
baci…

L’anno scorso di questi tempi tornavo dall’America e
piangevo, perché ero nuovamente ed irrimediabilmente solo.

Oggi, come due anni fa, indosso ancora quella stessa
maglietta ed ho sempre la chitarra in spalla. Come l’anno scorso e come in
fondo è sempre stato rimango solo, irrimediabilmente solo.

Non ho mai avuto una particolare simpatia per l’estate. Per
me è una stagione malinconica, quella delle aspettative disattese, delle
speranze deluse. Sì, d’accordo, il sole, il mare e gli amici, ma ci sono in
giro troppi esseri umani, troppi mammiferi e troppe poche persone. Adesso io
non voglio sempre e comunque fare la parte del bacchettone, ma io in estate
riesco a vedere solo il peggio delle persone, tradimenti ed accoppiamenti
selvaggi, lo sbronzarsi solo per il piacere di, il prendersi in giro, i falsi
sorrisi, le frasi di circostanza. Insomma l’estate è quando la gente si sente
libera e può tirare fuori il peggio di se’, mentre io me ne sto buono buono nel
mio pezzetto di campagna a chiedermi quale sia il mio ruolo in tutto questo e
se effettivamente c’è spazio ancora per me ed i miei simili.

Per me l’estate nell’accezione positiva e gioiosa a cui
tutti siamo avvezzi è invece sinonimo di falò di ferragosto. Mare, fuoco,
chitarra, tanti amici, un po’ di alchool accompagnato da qualcosa di buono da
sgranocchiare, alba e colazione con la granita. Niente di
più e niente di meno.

Io ed il mare non
abbiamo avuto mai un buon feeling, forse per via di qualche trauma infantile
che giace sopito nel mio inconscio, però il bagno di mezzanotte è uno di quei
riti sacri che vanno celebrati con ossequioso rispetto. È caldo, è bello, è
divertente, è catartico, liberatorio, oserei dire battesimale.

Io adoro il fuoco.
So che è banale, ma è l’unica cosa che potrei guardare senza stancarmi mai così
uguale a se stesso eppure così diverso e mutevole. Il fuoco è vita e
distruzione allo stesso tempo. Il fuoco antropologicamente porta con se’ tanti
di quei significati e di quelle implicazioni che non può se non essere
affascinante. Anzi il fuoco è fascino.

La chitarra, lo
sapete già, è parte di me: chi conosce me senza chitarra non può dire di avermi
conosciuto. Non sono bravo, non sono virtuoso, ma chiunque ha una bocca per
parlare o delle mani per scrivere non ha bisogno di essere per forza un
linguista. Io con la musica mi esprimo. Magari non benissimo, però è l’unico mezzo
attraverso cui vie fuori il mio vero io, anche quando non viene capito, ma
tanto io sono abituato a non essere capito.

Tanti amici: io
ho bisogno dell’approvazione di chi mi circonda. Al di là della mia esuberanza
a volte un po’ eccessiva e fuori luogo io sono tremendamente insicuro ed ho
bisogno di sentirmi apprezzato o talvolta anche solo di sentirmi sentito (per
questo urlo con tutte le mie forze e finchè c’è voce). Quando alla fine di una
nottata del genere ti senti fare tanti complimenti (nonostante tu abbia rotto
le palle al mondo con la tua voce stonata e roca), ti senti dire che il
ferragosto senza di te non è la stessa cosa, ti senti chiedere come fai a
mantenerti così “fresco” e sveglio dopo aver cantato suonato, bevuto, ballato e
tutto il resto senza bisogno di droghe o stimolanti di alcun genere,  io mi sento appagato e contento: queste sono
le soddisfazioni e le gratifiche delle quali ho bisogno per poter tirare avanti
e sopportare tutto un altro anno. Perché per me l’anno comincia il 15 di
agosto.

Non c’è niente di più bello che sentirsi apprezzati da
persone vere, potendo soprattutto dimostrare che non c’è bisogno di farsi una
canna o sbronzarsi per divertire e divertirsi. Insomma ferragosto è il trionfo
della mia faccia pulita e del bravo ragazzo che è in me,  mentre tanti altri si abbandonano a baccanali
e nefandezze di ogni genere arrendendosi alla incontrovertibile realtà di
essere animali prima ancora che uomini.

Per scacciare certi pensieri in effetti un po’ di alchool fa anche comodo e poi mette allegria e schiarisce la voce,
mentre invece il cibo riempie la
voragine esistenziale delle 4 del mattino.

E mentre si canta si aspetta impazienti l’alba che, naturalmente, fa la preziosa
e si lascia desiderare.

Una volta appagati dal sublime spettacolo della natura che,
noncurante degli affanni di noi uomini, continua a dispensare gratuitamente bellezza,
possiamo finalmente appagare i nostri palati e la voglia di dolce immergendo un
sano cappello di brioche in un bicchiere di soffice e cremosa granita.


Dopo, l’estete continua, ma a me, francamente, non importa più
nulla…

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Un po’(st) mistico

In questo post parlerò di tante cose, che non
necessariamente sono collegate l’una con l’altra. Questo post parla della mia
solitudine, o meglio, della mia solitudine affettiva e del fatto che avere un
milione di amici pronti a tagliarsi un braccio per te a volte non basta se poi
ti alzi alla domenica mattina e ti vedi solo e ti senti solo. Perché se hai
sete non puoi dissetarti mangiando e se 
hai fame non puoi sfamarti bevendo ed io, specie in questo momento, sono
decisamente affamato d’amore.

Dopo tante gioie e tante belle esperienze, sarà che un po’
di stanchezza comincia a farsi sentire, sarà che l’effetto novità comincia a
svanire, sarà che le responsabilità crescono, sarà che la distanza da casa si
fa sentire, sarà che dopo tanti tanti giri mi sento ancora al punto di partenza
sotto molti punti di vista, sarà forse anche l’impazienza di vedere i frutti di
tanti semini sparsi negli anni, ma un po’ di sana e malefica malinconia ha cominciato
ad impadronirsi dei miei sentimenti e dei miei pensieri e non c’è nulla che io riesca
a fare per scacciarla via. Nulla di nuovo sotto il sole: i problemi, i
pensieri, le sensazioni, sono quelli di sempre, magari sotto forme e parole
diverse.

Provo una strana sensazione che definirei “la tristezza (o
la frustrazione) di Dio” perché, ammesso e non concesso che Dio possa essere
triste o frustrato, immagino che qualora lo fosse lo sarebbe in questo modo.
Chi mi conosce dal vivo o chi semplicemente s’è fatto una vaga idea di me
leggendomi sui blog sa bene che io ho un modo del tutto personale e particolare
di relazionarmi al mondo ed alle persone. Sono una persona strana, devo aver
battuto la testa da piccolo (ed in effetti così è stato…) e nel bene o nel male
l’unico modo che conosco per rapportarmi alle persone è quello di amarle. Io
non sono un  amico, non sono una persona
disponibile, non sono un fidanzato. Io amo, punto. Nemmeno sono un innamorato,
ché si potrebbe scambiare per infatuazione. No, io amo. Allo stesso modo con
cui credo Gesù amasse i discepoli e le persone in cui si imbatteva (per questo
io capisco tanto Gesù e mi sento tanto capito da Lui). Ed è una cosa bellissima
perché indipendentemente da quello che farai tu o da quello che farà l’altra
persona sai che comunque le vuoi bene e continuerai a volerle un bene da morire
in secula seculorum amen. Ti ricorderai di lei tutte le volte che lontano da
lei ti imbatterai in qualcosa che ti ricorda lei (per dirla alla Andrew Bird:
“you remind me of you…”) ed ogni volta che se ne presenterà l’occasione ti
farai in 4, 8, 16 per lei. Nella vita di tutti giorni sarai premuroso, ma non
morboso, anzi tutto andrà avanti come se niente fosse chè l’amore non ha
bisogno di dimostrazioni eclatanti. Il fatto di provare questa specie di
passione (sì posso dire di essere appassionato) per certe persone (gli amici in
primis) che non per forza è sinonimo di trasporto, ti spinge ad illuderti che
chiunque delle persone delle quali ti innamori riesca a percepirti in maniera
particolare ed indelebile. E ti illudi e speri e vorresti che nessuno si
dimenticasse di te proprio in virtù di questo tuo tanto impalpabile quanto
sottinteso amore. Così ti capita di soffrire, quando ti perdi qualcuno per
strada, o quando qualcuno fa l’orso e per superficialità, non per cattiveria,
sia chiaro, ti lascia in disparte o si dimentica, anche solo per un attimo di
te. Sì per queste cose io sono proprio un bambino, non a caso sono il pargolo,
e soffro parecchio quando non mi si dedica il minimo sindacale di attenzioni.

Quello che vorrei è lasciare una traccia nella vita delle
persone che mi circondano così come tutti più o meno inconsapevolmente l’hanno
fatto con me. Io
riesco a rintracciare in me il bene che mi è stato fatto dagli altri e per
questo sono e sarò loro immensamente ed eternamente grato. E vorrei, allora,
come capriccio o velleità personale, che accadesse lo stesso negli altri. Ma
gli altri a volte sono troppo impegnati a guardare la propria vita, vivono ad
un livello meno profondo (e non sto dicendo che è un male) e certe raffinatezze
è chiaro che vengono avvertite solo nel loro inconscio.

Ma al di là degli amici che alla fine si dimostrano sempre
tutti belli e buoni con me il vero problema è che:

“sometimes I feel
like I
don’t have a partner
sometimes I feel
like my only friend
is the city I live in
the city of angels
lonely as I am

together we cry”

In molti sostengono che se sto da solo è anche un po’ colpa
mia. Nel senso che o sono troppo esigente o sono troppo ingessato o sono troppo
maturo e dovrei lasciarmi andare, o troppo immaturo perché certe situazioni non
le so gestire, o sono troppo serio o troppo poco serio and so on… E con ‘sti
ragionamenti finisce sempre che ci manca un soldo per fare una lira e che
mentre tutti sono pieni di difetti e cuccano alla grande io, che a furia di aggiustatine qua e
là mi avvio sulla strada della perfezione, devo appuzzare. E quindi questa tesi
non regge.

Tutto quello che so fare e tutto quello che ho imparato a
fare perché “se vuoi aver successo… allora dovresti fare così…”, tutto il
percorso di ascesi e di allenamento nel corpo, nello spirito, nel talento e
nelle virtù non è servito a nulla. Anzi questo non ha fatto altro che
confondere le idee a chi si è trovata di fronte a me. Perchè alle volte piaci o
vieni considerato per quello che fai, dici e pensi e non per quello che sei. E
questa è una cosa assolutamente, decisamente ed irrimediabilmente frustrante.
Perché più uno cerca di arricchire di colori il proprio arcobaleno, più uno
cerca di abbracciare tutte le cose belle della vita, e più la gente cerca il
fenomeno da baraccone che c’è in te, cerca la persona interessante, il tipo che
ha questo o quell’interesse, apprezza il fatto che suoni, scrivi canzoni, e non
capisce che è per il fatto che siccome tu sei tu che allora ti puoi permettere
il lusso di fare un po’ di tutto…

Io sono uno di quelli che alla domenica pomeriggio si mette
a schitarrare con distorsore e delay per mezzo pomeriggio, poi si cambia, si
pettina i capelli da bravo bambino e va a Messa e se può, si fa anche la comunione. E questo,
vi renderete conto che nel terzo millennio, fa ancora scandalo così che il vero
anticonformista divento io che ho ancora la buona abitudine di andare domenica
in chiesa… E non vorrei ogni volta sentirmi fare certi discorsi del tipo: “ma che
ci vai a fare a messa, lascia stare goditi la vita”. Perché chi mi conosce lo
sa: se c’è uno che sa godersi la vita, che trova il lato migliore di ogni
situazione, che si tiene sempre in movimento e che ha fatto di tutto e di più
quello sono io e  sfido chiunque a
competere con le gioie e le emozioni che provo.

Io sono come sono e se devo cambiare voglio farlo in meglio,
non certo per appiattirmi e mettermi a livello di questa società che non approvo e non
stimo. In tanti, troppo spesso, mi consigliano di abbassare il tiro, ma io
voglio alzarlo ed allora mi chiedo perché cavolo tutti mi vogliono spingere
guardare in basso. Siamo fatti per volare alto, ma anche qualora non fosse
così, di certo non siamo stati fatti per sguazzare nel nostro vomito.

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Ventinove di ventinove


Il tempo passa ed il
pargolo invecchia… Ripensando ad un vecchio sms d’auguri di un caro
amico comincio anche io a chiedermi: chissà se quando sarò diventato
davvero vecchio, coi capelli bianchi (o magari senza capelli :|), le
rughe e le sopracciglia folte continuerete ancora a chiamarmi pargolo?
Nonno pargolo… :|

‘Sta storia del pargolo
strana storia… epperò mi piace, perché dovunque vada e qualunque cosa
faccia ho la certezza di ritrovare me stesso ogni  qual volta vengo
riconosciuto dagli altri.

Alla faccia di tutti
quelli che propagandano tristezza, odio, miseria, negatività io voglio
urlare al mondo che finalmente sono felice! Non so se e quanto durerà,
ma sono felice, qui ed adesso, con tutte le mie paure, le mie ansie, le
mie incertezze, la mia tristezza e la mia solitudine io sono felice! Ho
una vita che comincia alle sei del pomeriggio e finisce alle 8:30 del
mattino; ho finalmente un lavoro niente male che mi permette di
sbarcare il lunario; ho una sfilza di veri amici che neanche se li
avessi inventati io sarebbero venuti così bene; ho anche tanti amici
virtuali che per qualcuno vuol dire niente, ma siccome sono amici miei
vuol dire che sono certamente persone speciali (oggi ci è concesso di
essere modesti…); poi c’è anche tanta gente di passaggio che quando
passa lascia sempre qualcosa: un sorriso, una gomma da masticare, una
frase, una parola, una canzone, il titolo di un film o di un libro. E,
badate bene, non è che tutto fa brodo, ma è che tutto è pieno e non ce
la si fa ad afferrare tutto da soli! La vita è densa ed ogni sorso di
vita che respiro è carico di sensi più di quanti io sia in grado di
coglierne. E imparo imparo imparo, e dimentico, sto perdendo tutto, ma
arriva tutto nuovo, via il vecchio che si fa primavera e poi estate e
poi autunno e poi inverno e poi di nuovo primavera, si impara si
dimentica e poi scopro che avevo già vissuto tutto solo che lo avevo
dimenticato, ma ogni volta che lo rivivo sembra la prima volta (i
vantaggi dell’arteriosclerosi), ma ogni prima volta è diversa e quello
che prima non mi piaceva ora mi piace e quello che mi piaceva prima mi
piace ancora, forse di più forse di meno, e vorrei potere avere sempre
questo entusiasmo questa eccitazione che ho adesso.

È che per la prima
volta, per la prima volta in 29 anni sono finalmente consapevole di me
stesso ed ho capito che forse avevo capito bene e che probabilmente
sono gli altri ad avere capito male. E che tutta la solitudine e le
incomprensioni di un tempo un senso ce l’avevano. Non è andato tutto
perduto, niente è andato perduto anzi si è conservato fino ad adesso ed
è adesso che devo fare attenzione a non svendere.

E tutti voi che mi
guardate da fuori, vi prego di aiutarmi a mantenere il controllo, chè
non è semplice ed alle volte uno si perde, fa le cavolate, ed invece
c’è sempre bisogno di qualcuno che ti guardi, che si ricordi di te e
che ti ricordi di essere te stesso e non un altro. Il mio non è
semplice esibizionismo, ma voglia di dimostrare che anche
mediocre/normale è bello (ad esempio io non sono ne’ un musicista, ne’
uno scrittore, faccio tanto ed in maniera approssimativa, però alla
fine funziona), voglia di preservarmi, voglia che mi prendiate a sberle
quando sarà il momento, voglia che qualcuno ricordi al posto mio chi
sono per ricordarlo a me quando sarà momento. Insomma, per dirla in
termini tecnici, sto provando a fare un backup di me stesso sulle
vostre memorie (l’ho detto prima: avete facoltà di picchiarmi).

Pian pianino comincio a
realizzare (non che non lo sapessi) che quelli che verranno saranno
ancora anni di attesa, anni di “non so ancora cosa farò da grande”, ma
allo stesso tempo anni in cui pianificare e progettare il mio futuro.
Sebbene tutto, sono consapevole di essere ancora all’inizio e questo un
po’ mi scoccia avendo un cv (di vita proprio, non di lavoro!) già
abbastanza ricco. Ma funziona così, che la polvere da sparo non brucia
lentamente, ma esplode tutta in una volta. Ed in attesa dei fuochi
d’artificio diciamo che studio le coreografie.

In fondo vivere pensando di morire fra 4 anni
è una figata pazzesca perché mi dà un orizzonte, un limite ed al tempo
stesso mi lascia l’opportunità di prendermela con comodo, senza
affogarmi. Quello che deve essere fatto sarà fatto! Che poi, in realtà,
io alla morte (questa volta quella vera, quella che ti capita quando
meno te l’aspetti) ci penso tutti i giorni e devo dirvi che,
contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, è una cosa che mi dà
una serenità incredibile, che mi pungola e mi stimola a vivere bene
ogni giorno. Potrei morire domani o addirittura oggi, sarei sereno,
perché pur lasciando tante cose a metà ho un bel disegno dentro la
testa ed il fatto stesso di avercelo e di essere consapevole di aver
dato (a prescindere dagli esiti) il massimo per realizzarlo è già di
per se’ appagante.

Sento di essere nato
per fare grandi cose, non saprei affatto dirvi cosa, ma sento che è
così e per questo mi voglio e mi devo preparare. Non voglio diventare
come tanti maschi trentenni più insopportabili dei ragazzini delle
medie. E nemmeno uno tutto stupidizia e bradipezza. Io voglio essere
brillante, attivo, sveglio, frizzante, voglio continuare a stupirmi,
nel bene e nel male, ed a giocare col mondo, a chiamare le cose col
loro nome ed in qualche caso essere io ad inventare un nome per loro
(ricordiamo il significato antropologico e cosmologico del dar nome
alle cose…).

 
In questa fase di
“viremu chi dannu pozzu cumminari” (tr. vediamo quale danno posso
combinare) siete compresi anche voi. Nel senso che anche voi potrete e
dovrete fare la vostra parte.

Per esempio, a breve
(non so ancora con quali tempi, ma ottimisticamente entro i prossimi
mesi) lancerò (nel senso che ci provo, ma voglio riuscirci) il “pargolo’s music project
un progeto artistico a 360° (non solo musica quindi) che vuole
coinvolgere tutte quelle persone che come me si sentono un po’ artiste,
ma solo nel tempo libero, sedute sul gabinetto o sotto la doccia… Non
dico altro perché tutto sarà studiato nei dettagli e reso noto al
momento opportuno.

 
Tre cose importanti ho
imparato in questi 29 anni e ci tengo a farvele sapere (ormai avete
capito come sono: se credo di tenere fra le mani di bello o di
interessante devo assolutamente condividerlo ed annunciarlo a tutti
come una sorta di Vangelo. Poi ognuno fa quel che gli pare, ma io
almeno glie l’ho detto). Una è che la paura ti frega sempre. È normale
avere paura, la paura è una misura del peso di ogni azione, pensiero o
decisione perciò, da un certo punto di vista, è anche buono che ci sia.
Però è la paura a farti fare le cavolate quindi è bene imparare a
controllarsi perché nel momento in cui è la paura a controllare te tu
smetti di essere libero e di vivere bene.

La seconda è che la
fiducia (persino quella nelle persone sbagliate) e la Fede ti tirano
fuori da un sacco di pasticci. Poi è  anche importante imparare a
scegliere in chi o cosa avere fiducia, ma questo viene dopo, nel senso
che nessuna cosa viene perfetta da principio e si è sempre i tempo a
rivedere le proprie posizioni.

La terza è, infine, che
se la vita fosse una prova di resistenza avremmo tutti già perso in
partenza. Per tanti anni ho pensato che solo i migliori sopravvivessero
ed ho cercato di essere il migliore. Il risultato è stato di essere un
eterno secondo (donde la mia simpatia per il numero due, sancita, tra
l’altro, dall’essere nato oggi, giorno di San Secondo), del tipo che
ero bravino, ma trovavo sempre qualcuno più bravo di me. E tutte quelle
volte che pensavo che sarei arrivato primo poi non ce l’ho fatta e mi
pareva di avere perso ed invece no.

Parafrasando Kant
potrei dire: la legge della giungla (quella del più forte) fuori di me,
la legge del cuore con la testa dentro di me.

Una cosa è certa: finchè  a questo mondo saranno i furbetti a regnare io allora scelgo di essere stupido ed ingenuo, come un bambino…
 
PS …e di fregarmene della consecutio temporum!
PPS un grazie di cuore a voi tutti noti ed ignoti lettor, amici e quant’altro.
PPPS Quando morirò vorrò essere ricordato come Stefano detto il pargolo, prototipo della persona normale.

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